L’area balcanica rappresenta uno dei principali canali di ingresso in Europa dei rifugiati, come ben emerge dai dati pubblicati da Eurostat1 sulle domande di asilo presentate in tutti i Paesi dell’Ue nel 2018 e nel 2019: tra le prime dieci nazionalità dei richiedenti asilo il 32,72% proviene dall’Afghanistan, il 25,91% dal Pakistan, l’8,03% dalla Siria, il 6,56% dall’Iraq e infine il 4,61% dall’Iran. Si tratta delle medesime nazionalità che ritroviamo presenti con assoluta prevalenza tra i migranti lungo tutti i Paesi della rotta balcanica2. Si sottovaluta (ma è invece una caratteristica cruciale per comprendere i temi di questo report) che nell’area balcanica troviamo sia Paesi dell’Unione europea (Grecia, Bulgaria, Croazia, Ungheria, Slovenia) sia Paesi esterni all’Unione (Macedonia del Nord, Serbia, Kosovo, Albania, Montenegro, Bosnia ed Erzegovina) tuttora profondamente segnati da forti tensioni interne. I migranti nella loro via di fuga si trovano a entrare innanzitutto nell’Unione europea (Grecia e Bulgaria) per poi uscire dall’Unione stessa ed entrare nei diversi Paesi non-Ue dell’area dai quali però uscire e tentare di entrare nuovamente nell’Unione europea più a Nord, in Croazia e Slovenia (la peculiare situazione dell’Ungheria non verrà trattata in questo Report) considerati come Paesi di transito, al pari di quelli lasciati alle spalle. L’estrema complessità di ciò che avviene in quest’area permette di osservare in filigrana le politiche dell’Unione europea sull’immigrazione e sul diritto d’asilo: anche se siamo, geograficamente e storicamente, all’interno dell’Europa, l’intera area è da anni campo di applicazione di dure politiche di esternalizzazione finalizzate ad impedire, o quanto meno a contenere, i flussi migratori diretti verso l’Europa occidentale. Si tratta di un approccio che viene persino rafforzato dalla proposta di Patto sulla migrazione e l’asilo proposto dalla Commissione europea il 23 settembre 20203. L’obiettivo prioritario previsto nel Patto è il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne alla Ue ed è questa pressoché l’unica ottica nella quale trovano posti i Paesi che nella proposta di Patto sono chiamati dei “Balcani occidentali”. La Commissione riconosce che essi “richiedono un approccio su misura, sia per la loro posizione geografica sia perché in futuro saranno parte integrante dell’Unione europea” ma le rare volte che nel testo viene citata questa strategica area geografica situata dentro l’Europa è per evidenziare l’obiettivo da parte degli Stati di sviluppare “capacità e procedure di frontiera atte ad avvicinarli all’Ue nella prospettiva dell’allargamento”.
A tal fine “la cooperazione con i Balcani occidentali, anche attraverso accordi sullo status dell’Ue con i partner dell’area, consentirà alle guardie di frontiera Frontex di collaborare con gli omologhi nazionali sul territorio di un Paese partner”. Non una sola parola viene spesa nel Patto per analizzare la complessità della situazione nei Balcani, i flussi migratori che li attraversano, l’intreccio geografico tra Paesi Ue e non-Ue. Parimenti nulla si propone su come sviluppare nei Balcani occidentali dei sistemi di asilo minimamente efficienti sia in relazione alle procedure di esame delle domande di protezione sia dei sistemi di accoglienza ed evitando accuratamente ogni analisi critica di quanto avvenuto nell’ultimo quadriennio si afferma che “la dichiarazione Ue-Turchia del 2016 rispecchia l’intensificarsi dell’impegno e del dialogo con la Turchia, contribuendo anche a sostenere gli sforzi del Paese per accogliere circa quattro milioni di rifugiati”.
Coerentemente con l’approccio di cui sopra, nel Patto si propone di allargare quanto più possibile l’utilizzo di procedure di frontiera per esaminare in modo accelerato e con garanzie procedurali ridotte il maggior numero possibile di domande di asilo senza che ciò comporti che i richiedenti godano di uno status di soggiorno legale nel Paese Ue coinvolto. Nazioni come la Grecia e la Bulgaria a Sud e la Croazia a Nord (un’incognita è data dall’Ungheria, per ora riottosa a ogni coinvolgimento) sono quindi destinate a diventare Paesi-hotspot nei allestire giganteschi campi di confinamento dei migranti, normalizzando quanto già avvenuto in luoghi come il campo di Moria a Lesbo che rappresentano la vergogna dei nostri tempi, nonché disseminando tali nazioni (e l’Italia per la gestione dei flussi dal Mediterraneo) di centri di detenzione per il rimpatrio di coloro la cui domanda di asilo verrà rigettata.
Chi auspica infine che almeno nel Patto si propongano programmi di reinsediamento (o altri canali umanitari) dei rifugiati dai Balcani occidentali verso la Ue deve riporre ogni speranza in tal senso perché tale tema è totalmente ignorato.
Ipnotizzata dall’incubo che ogni azione positiva possa costituire un pull-factor all’arrivo di nuovi migranti, l’Europa non intende fare nulla nei loro confronti, salvo respingerli alla frontiera,
compresi coloro il cui diritto a una protezione è evidente, le situazioni vulnerabili e i minori non accompagnati. Per essi non c’è alcun futuro, né nei Paesi dei Balcani nei quali sono intrappolati, né altrove. Sono vite di scarto di cui non occorre occuparsi.

 

Fonte: Altraeconomia

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