Intervista a Emanuel Gambaruto, l’operatore itinerante dell’associazione TraMe di Carignano: una figura nuova per dare supporto ai cittadini in difficoltà, a titolo gratuito.

“Il Carmagnolese” ha intervistato Emanuel Gambaruto, l’operatore itinerante dell’Associazione di promozione sociale TraMe di Carignano che dà supporto ai cittadini in difficoltà, a titolo gratuito.

Che cosa significa essere un operatore itinerante?
Il mio lavoro consiste nell’essere di supporto ai cittadini più fragili che si trovano in difficoltà. Statisticamente le persone che richiedono aiuto sono ultrasessantacinquenni con eventuali patologie: tuttavia, dall’inizio del lockdown e del conseguente isolamento siamo diventati tutti un po’ più fragili e, per questo motivo, il mio intervento si è esteso a tutti coloro che richiedono aiuto. La particolarità di questa figura è di essere appunto “itinerante”, ossia di operare a domicilio o via telefono: dedico il mio tempo a coloro che si sentono soli e tengo loro compagnia attraverso la mia presenza fisica o telefonica. Un caffè, una passeggiata, qualche parola scambiata per telefono, cose così.

Perché ha scelto di intraprendere questo percorso?
Per un periodo della mia vita ho lavorato nelle strutture sanitarie assistenziali, ma è stata un’esperienza per me deludente. Il motivo principale di questo giudizio negativo è legato ai rigidi protocolli ministeriali a cui le Rsa devono sottostare, che costringono gli operatori ad avere un tempo limitato e iperdefinito per ogni paziente. Questo, ovviamente, va a scapito del rapporto umano. Per questa ragione, ho deciso di uscire da questo mondo che sentivo non appartenermi.

Perché ritiene importante il concetto di domiciliarità?
Credo molto nell’importanza della domiciliarità, soprattutto per le persone più anziane. Dati statistici infatti sostengono che, rimanendo nel proprio domicilio, le capacità residuali di una persona rimangono stazionarie e non si deteriorano tanto quanto accade nelle strutture specifiche. L’ambiente delle Rsa, per esempio, è asettico, estraneo alla vita dell’anziano e questo ha delle ripercussioni a livello psicologico. Con il mio lavoro invece faccio visita al paziente nella sua abitazione, una casa in cui sono conservati i ricordi e si mantengono le abitudini.

Pensa che questa figura sia utile in ogni situazione?
No, non sempre. In presenza di malattie più o meno gravi, dietro al paziente deve esserci un caregiver, ossia una figura che riesca a garantire la sua presenza e l’assistenza necessaria. Io offro la possibilità al caregiver di riprendere fiato per il tempo di cui ha bisogno, che sia mezz’ora, due ore, un pomeriggio. In particolare, nei casi di anziani con l’Alzheimer, la necessità da parte del caregiver di allontanarsi temporaneamente da quella situazione è indispensabile trattandosi di una patologia che richiede un notevole impegno fisico ma soprattutto mentale.

Da quanto tempo lavora come operatore itinerante?
Lavoro come operatore itinerante dalla fine dello scorso novembre. Nonostante questa figura sia stata contemplata nel progetto DAR (Domiciliarità Accoglienza Rete) di TraMe fin dalla sua istituzione, il Covid-19 non ha permesso la sua immediata concretizzazione. Al momento, sono il solo all’interno dell’Associazione che ha questo ruolo. La mia figura è poi affiancata dallo sportello di sollievo, formato da una équipe di psicologi.

 

Quanto pensa sia importante questa figura al giorno d’oggi?
Moltissimo. Sfortunatamente non è così raro leggere sui giornali di casi di suicidio per solitudine e abbandono e questo è solo una delle testimonianze più estreme di quanto le persone stiano male. Per questo motivo spero di riuscire a far conoscere questa figura a più persone possibile. Al momento utilizzo i social network e il volantinaggio per Carignano come modi per sensibilizzare la comunità ma spesso, soprattutto nel secondo caso, è complicato. Infatti, come è normale che sia, le persone sono diffidenti perché viviamo in un mondo di paure, in parte giustificate, come il timore di essere ingannati. Capisco le persone che sono restie quando mi avvicino perché pensano che voglia vendere loro oggetti o abbonamenti. Ciò che però voglio trasmettere è l’importanza del ruolo che questa figura ricopre: non impongo nulla, ma offro aiutoa titolo gratuito, a chi è in difficoltà.

Qual è la soddisfazione più grande?
La soddisfazione più grande è quando si sente che si sta aiutando concretamente qualcuno. Mi si riempie il cuore di gioia quando le persone che contatto e che hanno capito l’intento mio e dell’Associazione TraMe ci ringraziano e ci incoraggiano, dicendo: “Meno male che ci siete voi che fate una cosa bellissima”. Alla fine, quello che faccio non è nulla di che: un paio di chiacchiere davanti a un caffè, durante una passeggiata o una telefonata. Ma per chi è a casa, in completo isolamento, queste piccole cose che possono apparire insignificanti rivestono invece un ruolo importante. Divento così una sorta di “appuntamento”, quotidiano o settimanale, che entra a far parte della vita dell’altro.

C’è una frase in cui crede particolarmente?
Sì. Durante una delle ultime lezioni al corso per diventare operatore socio-assistenziale, un docente ci disse una frase che mi ha colpito: “Qualsiasi professionista al mondo ha dei ferri del mestiere: l’idraulico ha la pinza, l’insegnante ha il gessetto e il muratore ha la cazzuola. L’operatore socio-assistenziale invece ha tre strumenti che sono parte integrante della sua persona. Il primo sono le mani, che gli permettono di aiutare anche le persone ai margini della società. Il secondo è la testa, usata per pensare e capire in che modo far funzionare le mani. Il terzo, il più importante, è il cuore, che coordina i primi due”.

 

Fonte: Il Carmagnolese