Segnaliamo questa importante mobilitazione per manifestare contro l’invasione turca in Siria e le violenze contro il popolo curdo:
Il 6 ottobre Erdogan ha annunciato un’invasione su larga scala del Rojava e della Siria del nord. Il 7 ottobre Trump ha ordinato ai militari statunitensi di interposizione a Serekaniye di muoversi verso sud per far spazio all’aggressione turca.
Colpi di mortaio hanno colpito il Rojava nella notte tra il 7 e l’8 ottobre. Purtroppo non è una novità questa ma stavolta, con la Turchia che ha ammassato lungo il confine migliaia di militari e paramilitari jihadisti, carri armati e lanciamissili l’attacco potrebbe essere imminente.
L’invasione del nord’est della Siria significherebbe l’annientamento dell’unica rivoluzione vincente di questo secolo da parte di un governo fascista e fondamentalista, sulla base di un accordo interno alla Nato, nel silenzio di Unione Europea e Russia (già responsabile dell’invasione di Afrin).
Tutte le conquiste in materia sociale, femminile, ecologica, economica e istituzionale andrebbero perdute. Le vite di 9.000 martiri vedrebbero la realtà per cui hanno combattuto spezzata dalle dinamiche capitaliste e reazionarie internazionali.
Il momento è grave. La diplomazia della Federazione è al lavoro per evitare il peggio, i popoli del Rojava sono in strada, ma la resistenza militare potrebbe dover essere vicina.
Nessuno può voltarsi dall’altra parte.
Nessuno che abbia a cuore i valori rivoluzionari per il quale la Federazione della Siria del Nord esiste e combatte.
Scendiamo in piazza tutti a Torino sabato alle 17.30, in Piazza Castello per:
– Informare i torinesi su ciò che sta accadendo
– Pretendere una presa di posizione netta da parte del governo italiano
– Affermare che gli eserciti delle Forze siriane democratiche, delle Ypj e Ypg godono dell’appoggio delle torinesi e dei torinesi
– Dare solidarietà a Eddi, Jacopo e Paolo, volontari in Rojava nelle Ypj, nelle Ypg o nel movimento civile negli scorsi anni, che martedì 15 ottobre dovranno comparire in Tribunale perché accusati di essere “socialmente pericolosi”