Mille atleti nella coppa del mondo dei migranti. Sabato 11 giugno comincia ufficialmente Balon Mundial, il torneo di calcio che a Torino fa scendere in campo rifugiati e richiedenti asilo. Comprese le qualificazioni sono trentotto le squadre maschili di calcio a 11, e undici quelle di calcio a 5 femminile.
Un torneo gratuito per tutti: gli organizzatori, tra cui Tommaso Pozzato, operatore dell’Associazione carignanese di Tra Me, coprono ogni spesa, dai costi assicurati agli arbitri, fino ai premi. Che non sono in denaro o in buoni, ma consistono in una coppa e nella gloria, proprio per rappresentare il senso di questo campionato: avvicinare le diversità sostenendo l’inclusione sociale.
Il campionato comincerà questo fine settimana, per poi proseguire tutti i week end di giugno e il primo di luglio al Parco della Colletta, mentre il 16 e 17 luglio semifinale e finale saranno disputate allo Stadio Nebbiolo del Parco Ruffini. Impianti che la Città di Torino insieme alla Circoscrizione 7 ha concesso gratuitamente ai 25 soci della Onlus Balon Mundial.
Autofinanziamento, bandi pubblici e sponsor privati: è così che il progetto riesce a sopravvivere. Da questo giugno fino al luglio del prossimo anno tutto sarà sostenuto da un bando della Uefa che la onlus ha vinto, per sostenere progetti di inclusione sociale. Abbiamo chiesto a Tommaso Pozzato, presidente della a.s.d. Balon Mundial, di raccontarci questa storia di sport e di uguaglianza.
Perché il gioco del pallone è una cosa universale?
Perchè è facile da praticare. Puoi realizzare una palla in qualsiasi modo, con degli stracci o una lattina, basta che tu possa calciarla. Le regole sono semplici, e qualsiasi cosa può diventare una porta. La sola regola è fare goal. Si può praticare in tutto il mondo e, a differenza del basket o della pallavolo, non hai bisogno delle strutture, che a volte sono difficili da reperire. All’interno delle regole del calcio tutti diventano uguali: gialli, rossi, bianchi, neri, donne, uomini senza alcuna distinzione.
Che cosa si propone di fare questa iniziativa?
Balon Mundial è giunta al decimo anniversario, ed è nata con l’idea di organizzare la coppa del mondo delle comunità migranti, facendo incontrare quelle del territorio per mostrare alla comunità torinese che loro esistono. I migranti spesso sono trasparenti agli occhi delle persone. Ognuno è portatore di una cultura differente, anche sportiva. Il primo intento è farli conoscere, il secondo far mescolare la loro cultura attraverso uno scambio di cibo e abitudini. Tra un senegalese e un peruviano, ad esempio, esiste un mondo di differenza, che grazie al Balon Mundial scende in campo per sfidarsi, ma soprattutto conoscersi.
Perché proprio Torino?
Il progetto è stato fondato da Matteo Salvai, un pinerolese che lavorava a Torino. In quel periodo la città viveva una forte immigrazione. Essendo il calcio uno sport universale, ed essendo la città un terreno fertile dal punto di vista dell’integrazione abbiamo pensato di sviluppare tutto qui.
Avete scelto appositamente questo periodo in concomitanza con gli Europei?
Giochiamo in questo periodo fin dall’inizio, finendo entro le prime settimane di luglio. È il periodo migliore perché finiscono i campionati. Questa, d’altronde, funziona proprio come la coppa del Mondo, solo che è amatoriale. A luglio inizia già a fare troppo caldo, per cui abbiamo scelto giugno come mese di partenza.
Giocatori importanti strapagati: qual è il valore di coinvolgere in questo campionato persone in difficoltà?
Si tratta di realizzare un sogno, proprio come i ragazzini che sognano di giocare in nazionale difendendo i colori della loro comunità. Come giocatori è una grande soddisfazione, mentre come organizzazione vogliamo creare relazioni. Non tutti i partecipanti, ovviamente, sono consapevoli del processo sociale che avviene. Il mondo professionistico rispetto al mondo reale di questa disciplina non rappresenta più del 10%. La media è di un professionista su mille. Balon Mundial rappresenta gli altri 999. Il mondo sotto i riflettori non rappresenta tutti coloro che giocano: da noi ai bambini all’oratorio. Ci piacerebbe che in Italia ci fosse una filosofia di calcio professionistico legata al sociale. Per noi sarebbe uno strumento educativo, e non fine.
(fonte: Alt3 Storie)