Il Festival delle migrazioni che da diversi anni fa incontrare persone, pensieri, musica e convivialità in strade impervie e paesi isolati della Calabria quest’anno ha saputo legare tre R con grande profondità: reciprocità, restanza e resistenza. Un’iniziativa itinerante che dimostra come sia possibile raccontare i temi delle migrazioni con approfondimenti e scambi e, nello stesso tempo, ribaltare le narrazioni tossiche che avvelenano sempre più spesso l’accoglienza
Il Festival delle migrazioni 2024 promosso dall’associazione Don Vincenzo Matrangolo di Acquaformosa è cominciato con un pugno allo stomaco. Dovevamo incontrarci a Bisignano per aprire il festival iniziando con il dibattito sul Patto europeo su Immigrazione e Asilo e nella mattina è arrivata la drammatica notizia della morte di Anu, una bimbetta di sei anni curdo-irachena ospite del progetto SAI (“Sistema di accoglienza e integrazione”) locale. Il giorno prima giocava in piazza, raccontano gli operatori e poi l’indomani sembra sia rimasta soffocata per aver ingerito qualcosa di troppo grande ma si sta aspettando l’esito dell’autopsia. La comunità di Bisignano si è tutta stretta intorno alla famiglia con un abbraccio caloroso e solidale, il sindaco ha annullato i festeggiamenti del santo patrono e anche il festival si è fermato. Era palpabile lo sgomento di tutti, il senso di impotenza degli operatori del SAI che tanto avevano fatto per sostenere questa famiglia ad inserirsi in un comune dell’entroterra calabro tra innumerevoli difficoltà: ritardi nelle risposte del servizio centrale, complicazioni per l’assistenza sanitaria in una terra dove il diritto alla salute è negato ai più, burocrazia senza fine. Eppure alla fine, la famiglia curdo irachena – madre, padre e tre figlioli, di cui l’ultima era appunto Anu – ce l’aveva fatta. Poi, accade l’impensabile.
In questo clima sospeso, tra dolore e incredulità, il 23 agosto il festival ha ripreso i lavori a a San Benedetto Ullano. Sull’onda del leitmotiv del festival, Resistenza, ci siamo messi in ascolto. Bisognava resistere, mai titolo fu più azzeccato. Da subito si è capito che quest’anno, più che negli altri anni, per gli organizzatori del festival era necessario fare controinformazione, affrontare il fenomeno migratorio partendo da quanto in Italia e in Europa si stia facendo per contrastarlo. Il 2023 ha infatti registrato un salto di qualità degli attacchi non solo al sistema dell’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo, ma anche all’idea dell’accoglienza. Resistenza quindi, partendo da tutti i macro argomenti che delineano il mondo delle migrazioni.
Un festival che è sembrato un lungo seminario con relatori autorevoli, tra medici specializzati, sociologi, giuristi, docenti universitari. A San Benedetto Ullano si è cominciato con un panel sulle violenze e sulle pratiche di infibulazione, un impatto crudo sulle migrazioni femminili di cui sempre troppo poco si parla. Le migrazioni femminili sono una delle parti più vulnerabili del fenomeno migratorio, dove gli abusi e le violenze raggiungono statistiche altissime: il 90 per cento delle donne giunte in Europa hanno subito uno o più stupri, molte restano incinte, molte hanno subito violenze sin dal Paese di origine, altre sono state costrette a prostituirsi ancora bambine. In alcune aree del continente africano – Somalia, Eritrea, Senegal, Guinea – la pratica dell’infibulazione è molto diffusa e le donne che riescono a giungere in Europa spesso non riescono a trovare la giusta assistenza sanitaria e numerose sono le problematiche che possono scaturirsi da questa pratica religiosa ancora una volta sulla pelle delle donne. Da qui la necessità di avere personale medico altamente specializzato, uno staff che preveda la giusta assistenza psicologica e l’inserimento sociale di queste donne. È ormai noto l’approccio del governo verso le migrazioni: del resto, nulla di sconvolgente per un continente che sempre più si arrocca e come in uno stupido Risiko esternalizza i confini per evitare le “invasioni del nemico”. Uno degli aspetti più oscuri dei processi migratori, di cui poco si parla, l’ha svelato Renato Curcio, intervenuto a San Benedetto Ullano: riguarda il controllo e la schedatura delle persone che fanno dell’Europa il continente con la più ampia banca dati del pianeta, con tutto quello che questo può comportare a livello mondiale. La strategia del controllo abbinata alla paura collettiva sono vecchie tecniche di condizionamento delle masse a cui la politica hitleriana ha attinto a piene mani per convincere il popolo tedesco ad accettare le politiche razziali con quello che poi ne è conseguito. Tempo ne è passato ma il binomio controllo-paura sembra sempre funzionare e non a caso i primi provvedimenti anti migranti del 2018 a firma dell’allora ministro Salvini si chiamavano “Decreti sicurezza”. Il messaggio è passato e oggi si accolgono le notizie dei naufragi in mare con disinteresse e distrazione.
La bellezza dei luoghi che hanno ospitato il festival, la genuina accoglienza, quell’integrazione naturale in paesi dove arrivare e partire sono due verbi in uso quotidiano, stride con le tematiche affrontate. Le cene sociali e le danze in piazza che sempre hanno corredato le serate sembravano gridare al mondo che qui, almeno qui, è possibile immaginare altri scenari. Resistenza, quindi anche mentre si assaporano le ciambelle fritte tipiche di queste zone con il cous cous e i sapori mediorientali, tutto buono, tutto così ordinario. Eppure mai come quest’anno è mancata così tanto la leggerezza, quello spiraglio che consegna speranza. Tra Piano Mattei, Accordi Italia-Albania, indagini e dati sulla situazione drammatica dei CPR, solo una nota fuori dal coro: la bella testimonianza a Vaccarizzo della Rete Vesuviana Solidale, nota ai lettori di Comune, che ha rilanciato l’”accoglienza bilaterale” come azione politica che genera collaborazioni positive tra le persone, siano esse migranti o cittadini. La logica è semplice: non esiste “un noi e un loro” ma si cammina insieme per creare una società solidale, si è tutti un grande noi. L’esperienza funziona da oltre dieci anni grazie anche al coinvolgimento di ordini religiosi, associazioni, cittadini. Una boccata d’ossigeno nello scenario generale. Proseguendo il cammino del festival, a San Giorgio Albanese altro momento topico con la dichiarazione del vice sindaco Giuliano Conforti che dopo aver ascoltato le relazioni sui CPR (Centri per il rimpatrio) e le ripetute violenze e abusi che subiscono i migranti ha detto di vergognarsi di portare la fascia tricolore della repubblica italiana. Silenzio in sala e poi un caloroso scrosciare di applausi. Anche questa è resistenza.
Eppure gli orrori continuano, pezzo dopo pezzo come lo sgranare di un rosario, il festival non tralascia nulla. La salute mentale e la vulnerabilità di alcuni migranti passata al setaccio, le storie di singoli drammi iniziate molto prima dell’arrivo sulle nostre coste, le implicazioni colpevoli dei governi occidentali… Un mix letale che produce sofferenza, sofferenza a volte ben celata e che solo esperti attenti possono far emergere e guarire. Uno status di vulnerabilità che senza timore si potrebbe estendere a tutte e a tutti, poiché sembra difficile immaginare un occidentale riuscire a superare indenne il trauma di quel tipo di viaggio dall’Africa verso l’Europa. Conoscere per capire e per sapere. Resistenza alla disinformazione, alla superficialità. Anche nel mondo della propaganda xenofoba c’è una logica, buona a sapersi. Se sei un iracheno o un afghano meglio non praticare la provincia di Foggia dove il rischio di essere fermato, schedato, imprigionato è altissimo. I neri invece possono circolare quasi indisturbati, sono braccia indispensabili per i caporali e quindi magicamente lasciati tranquilli dalle forze dell’ordine. Ma fuori stagione e fuori regione, i neri sono tra i più gettonati nei commissariati e nelle questure. A San Basile, Anna Brambilla dell’Asgi ha riportato gli esiti di una ricerca svolta a Ventimiglia dove la maggior parte delle persone fermate al confine erano per l’appunto persone nere. Maurizio Alfano presentando la sua ultima pubblicazione In nome della razza e del popolo sovranista ha denunciato l’ingresso del ministero della difesa in alcuni settori che riguardano i richiedenti asilo. La questione migratoria quindi in mano agli interni e alla difesa, welfare, sanità, non pervenuti. Resistenza, ancora resistenza. Fino a quando? L’arrivo di Patrick Zaki al festival e la felice risoluzione del suo caso sicuramente aiutano a resistere. Il periodo trascorso in carcere con le torture subite, ha raccontato Patrick, è stato accompagnato e ribaltato da una grande solidarietà esterna che, non c’è dubbio, ha rafforzato la sua resistenza.
Come resistono i luoghi che hanno ospitato questa tredicesima edizione del festival delle migrazioni, luoghi che hanno sfidato lo spopolamento aprendo le case ai nuovi cittadini, riaperto le scuole, dato lavoro ai giovani del posto, quelli rimasti, quelli che hanno creduto che restare è un loro diritto. La restanza, cara a Vito Teti, resta una forma di resistenza. Non poteva mancare una riflessione sui luoghi marginali, i numerosi paesi a rischio di spopolamento di cui il governo centrale non sembra occuparsi. Luoghi mal collegati, strade fatiscenti, presidi sanitari quasi inesistenti, che non solo resistono, in certi casi rinascono. Grazie anche all’accoglienza diffusa, ai migranti che qui vengono accolti nelle case vuote da troppo tempo, ai bambini e alle bambine che hanno ripreso ad animare i vicoli con i loro giochi. Strade possibili ce ne sarebbero, basterebbe cambiare la prospettiva e ragionare su soluzioni praticabili valorizzando la rete solidale che sempre inevitabilmente si consolida tanto più i luoghi sono isolati. Scuole con classi miste, perché no? Don Milani ce lo insegna e molti docenti si sono formati con la lettura di Lettera ad una professoressa.