Torino. Issa è un giovane immigrato clandestino, da sei anni in Italia, che è stato appena licenziato. Cerca così di farsi aiutare dal suo amico Mario, che lavora in un ristorante per trovare un’altra occupazione. Lui lo accompagna a comprare una bicicletta usata a un prezzo decente e gli fornisce uno zaino e uno smartphone per fare il rider. All’inizio le cose sembrano mettersi bene ma un giorno, durante una consegna, gli viene rubata la bicicletta. Vede il ladro, corre per raggiungerlo ma poi lo perde di vista. Non ha però il denaro necessario per comprarne un’altra. Così cerca disperatamente di ritrovare la sua. Inizia così a girare per la città per ritrovarla ma finisce per mettersi nei guai.

È il giovane protagonista che sembra costruire la propria storia e non viceversa in un cinema fatto di accadimenti che sembrano presi così come sono dalla realtà, senza dare l’impressione di nessun cambiamento se non impercettibile. Il riferimento a Ladri di biciclette è così immediato da apparire anche scontato. Ma più che un omaggio, sembra esserci una corrispondenza privata con quel film. Come Antonio e Bruno nel film di Vittorio De Sica, anche Issa cerca per gran parte di Anywhere Anytime la sua bicicletta rubata.

Milad Tangshir, regista originario di Teheran al suo primo lungometraggio che ha alle spalle anche una carriera come musicista con il gruppo iraniano Ahoora, riprende quella lezione evitando di seguirla scolasticamente ma aggiornandola con una sensibilità moderna, estremamente attuale. La scritta sullo zaino giallo sulle spalle ‘anywhere anytime’ del titolo, è solo l’illusione di facciata di un cinema che sa mostrare con energia, rabbia, impulsività, la storia di un’integrazione mancata.