Il ragazzo è affetto da Xeroderma pigmentoso che rende i raggi ultravioletti nemici della pelle. Di giorno deve passeggiare coperto dalla testa ai piedi. E dal Marocco dove non era accettato si è trasferito a Carmagnola, in Piemonte, dove ora vive felice.
Il figlio della Luna gioca a calcio di notte. Non può correre in spiaggia, passeggiare al parco, mangiare un gelato dopo la scuola. La sua alba è il nostro tramonto. Il sole è il suo peggior nemico. «Riade aveva cinque anni quando gli hanno diagnosticato la malattia, in Marocco». Lo racconta suo padre Salaheddine. E la malattia si chiama Xeroderma pigmentoso, un rarissimo disturbo genetico che rende la pelle ipersensibile ai raggi ultravioletti. Le sue vittime, diventano i bambini della Luna. I suoi genitori lo avevano già capito: Riade non apriva gli occhi e non sudava. Mai. «I primi mesi sono stati difficili, poi abbiamo cambiato stile di vita». E così, tutto quello che una famiglia fa di giorno, loro hanno iniziato a farlo di sera: una passeggiata, una partita al campetto, la spesa.
Ma in Marocco il sole non era l’unico nemico. Lo erano anche gli sguardi della gente, le parole di chi vedeva un bambino coperto dalla testa ai piedi, occhi compresi. Un’armatura di vestiti contro la luce. Fino agli otto anni, Riade non ha visto il giorno. E la sua sera finiva alle nove: a Casablanca c’è il coprifuoco. «E così i suoi migliori amici siamo diventati noi, i suoi genitori». Poi, Salaheddine ha scoperto lo «schermo», una sorta di casco da mettere sopra il viso (occhiali da sole inclusi). «Ma lo proteggeva solo per 15 minuti, giusto il tempo di arrivare dal medico o a scuola». Lì, dove i bambini potevano uscire a giocare, mentre lui rimaneva chiuso in classe. Oggi Riade ha 11 anni e frequenta la quinta elementare a Carmagnola. Ma prima di pensare a stravolgere la propria vita, venendo in Italia, il padre ha fondato un’associazione: «Solidarietà per i figli della Luna». «Un nome forse troppo poetico, ma «i figli di Dracula non mi piaceva».
Salaheddine non ha mai smesso di lottare per quel bambino che «condivide» con il satellite della Terra. La sua associazione chiede al governo che la sanità pubblica copra le malattie rare. «Sono tantissimi gli amici di Riade morti in questi anni». Un traguardo, però, l’ha raggiunto: l’associazione è riuscita a firmare una convenzione con due marchi per distribuire la crema che protegge i bimbi della Luna. Ma non sono stati solo meno raggi Uv a convincere Salaheddine a lasciare il Marocco. Sono state le persone. «L’ultima batosta è arrivata quando ci siamo accorti che era la stessa scuola a non accettarlo. Il direttore si è rifiutato di coprire i vetri della classe: «portatevi il figlio a casa». Le persone. Anche quelle belle, però. Perché mentre qualcuno li metteva da parte, qualcun altro li accoglieva. Ed era una signora che abita in provincia di Torino: «L’ho conosciuta su Facebook, sua figlia ha la stessa malattia. Ci siamo confrontati, supportati. Mi ha detto che lì la percentuale di raggi era la metà. E poi, la cultura e la storia italiana mi hanno sempre affascinato. Decido di partire».
La prima tappa è l’ospedale Regina Margherita, poi, l’incontro con l’associazione Trame, che da cinque anni si occupa di accoglienza. E da quasi un anno anche di Riade e della sua famiglia, tra vitto, alloggio, corsi di italiano, doposcuola, assistenza sociale, supporto nella ricerca del lavoro e nell’integrazione nel territorio. Ma, soprattutto, li fa sentire a casa. In particolare, il loro incontro è arrivato attraverso il progetto Altra-Meta, che si occupa dei richiedenti protezione internazionale. Al centro, l’inserimento di chi viene a vivere qui in un Cas, il centro di accoglienza straordinaria. E così a Carmagnola il figlio della Luna ha trovato una luce che non fa male alla sua pelle: «Le maestre gli hanno dato un banco lontano dalle finestre, tengono le tende tirate, e un’area per spalmarsi la crema. E le persone di Trame sono amici». Ma Salhaddine vuole che anche gli altri figli della Luna abbiano una vita normale. E così ha fondato l’Associazione italiana xeroderma pigmentoso, che organizza attività di notte. Dai campeggi alle partite di basket. E Riade da circa un mese ha avverato il suo sogno: nuotare; Trame, dopo aver trovato muta e crema speciale, ha attivato un corso per lui e i fratelli. Oggi, il suo viso non è completamente coperto. Nelle foto sorride. E ha degli amici. «In Marocco non comprendono la diversità. Qua mio figlio può vivere più a lungo. E più felice».
Fonte: Corriere della Sera – Torino