Nessuna novità. Purtroppo il rapporto dell’Onu sui cambiamenti climatici presentato a Ginevra l’8 agosto mette nero su bianco quanto studiosi e associazioni dicono da anni: dobbiamo intervenire subito per fermare il riscaldamento globale altrimenti si rischia la scomparsa.
L’allarme era stato lanciato in maniera inequivocabile durante l’incontro di tutti gli Stati del mondo (o almeno della stragrande maggioranza) durante la Cop 21 di Parigi del 2015, che si chiuse con un accordo per fissare l’obiettivo di limitare l’incremento del riscaldamento globale a meno di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali. Ma si è fatto e si sta facendo ben poco. Poco o nulla è cambiato, se non in peggio. In questi giorni, è in corso un incendio di portata catastrofica in Russia e per giorni nessuno è intervenuto perché la legge russa prevede che le azioni di spegnimento siano messe in atto quando il fuoco minaccia la città. La conseguenza sono ettari ed ettari di bosco bruciato e una riduzione del polmone verde e un aumento del riscaldamento globale.
Dall’altra parte il presidente degli Usa nega addirittura il fenomeno.
Il nuovo rapporto dell’Onu evidenzia, se mai non ce ne fossimo accorti, un’accelerazione dei fenomeni legati alla crisi climatica con conseguenze sempre più disastrose e che toccano in maniera più o meno visibile tutto il mondo. Tra le aree più colpite l’Asia e l’Africa, ma anche il Mediterraneo è fortemente a rischio e con lui le nazioni rivierasche.
Questo rapporto più di altri si concentra sulla relazione fra il cambiamento climatico e la salute del suolo, studiando le ricadute del surriscaldamento globale su agricoltura e foreste.
Proprio l’agricoltura e la produzione di cibo svolgono una funzione importante. Fondamentali per la riduzione del gas serra, e quindi del riscaldamento globale, la produzione sostenibile del cibo, la riduzione degli sprechi e la tutela delle foreste (sacrificate per lasciare spazio a coltivazione di soia Ogm per grandi allevamenti). La corsa forsennata a produrre più cibo sta causando sconquassi ambientali e sociali spaventosi.
Questo sistema ha fallito e sta facendo fallire il pianeta impoverendo la terra e aumentando i livelli di Co2. La desertificazione e fenomeni atmosferici violenti e improvvisi pregiudicano la produzione agricola e la sicurezza delle forniture alimentari. Allora non stupiamoci se ci sono ondate migratorie così consistenti. Sono persone che fuggono da condizioni precarie e senza futuro. Pagano anni di disastri creati della nostra economia. In attesa che i potenti del mondo prendano coscienza della crisi climatica, noi nel nostro piccolo possiamo quotidianamente fare qualcosa di importante. Partiamo dalla spesa e da alcuni accorgimenti: fare acquisti oculati, non sprecare, cucinare l’occorrente, ridurre drasticamente il consumo di carne e rivolgersi sempre ad allevamenti estensivi, organici e che rispettano il benessere animale, scegliere cibi di stagione e da agricoltura biologica e di prossimità, evitare prodotti con confezioni di plastica, impegnarsi nella raccolta differenziata.
C’è bisogno di una nuova visione sistemica, che metta in evidenza le esternalità positive di queste pratiche a dispetto di una economia che dilapida le risorse ambientali. Se ciò non avverrà, il dazio che dovremo pagare sarà impressionante e i costi che dovranno pagare le future generazioni diventeranno insostenibili. Ecco il terreno su cui si dovrà discutere nei prossimi anni di nuovo umanesimo, su cui si potrà costruire una politica degna di questo nome e vivere in una economia che non distrugge il bene comune, ma lo tutela e lo difende. È finito il tempo dell’indignazione o peggio dell’indifferenza. Bisogna agire e anche velocemente.
Carlo Petrini
Fonte: Slowfood