Presentato il rapporto “Cambiamento climatico e territorio” del comitato scientifico dell’Onu sul clima. A pagare le conseguenze del riscaldamento globale soprattutto le popolazioni più povere di Africa e Asia, con guerre e migrazioni. Ma anche il Mediterraneo è ad alto rischio di desertificazione e incendi

Il legame tra quello che mangiamo, come usiamo il suolo e i cambiamenti climatici che stanno modificando le nostre vite è stretto, sono fattori diversi che si influenzano l’un l’altro. Il riscaldamento globale che causa siccità, inondazioni e incendi sempre più frequenti anche nelle zone mediterranee, sarà nei prossimi anni un fattore sempre più ingombrante da tenere conto per la nostra sopravvivenza, e la maniera con cui gestiamo il suolo e anche la nostra dieta avranno un ruolo centrale nel mitigarne gli effetti. Il rapporto “Cambiamento climatico e territorio” del comitato scientifico dell’Onu sul clima, l’Ipcc, diffuso stamani a Ginevra, tiene insieme tutti questi aspetti. Si concentra su cambiamento climatico e territorio, studiando le conseguenze del riscaldamento su agricoltura e foreste. E’ stato preparato da 66 ricercatori da tutto il mondo, fra i quali l’italiana Angela Morelli.
Piogge violente, alluvioni, siccità e desertificazione sono eventi ai quali stiamo assistendo sempre più di frequente e secondo lo studio nei prossimi anni saranno amplificati dal global warming. Degradano il suolo e strappano fette sempre più ampie di terreno ai contadini, soprattutto nelle regioni più povere, in particolare Africa, Medio Oriente, Asia e America latina. In molte di queste regioni avanzeranno i deserti, che potrebbero invadere anche le regioni mediterranee. Ma soprattutto aumenteranno le migrazioni, all’interno di paesi e oltre le frontiere.
I migranti economici saranno sempre più migranti climatici, una situazione che rischia di accentuare i conflitti per l’uso delle terre ma anche nei Paesi di destinazione. Come l’Italia e quelli europei che si affacciano sul Mediterraneo, esacerbando così lo scontro già in atto, sociale, culturale e politico.

Assieme alla siccità aumenteranno gli incendi, non solo, come sta accadendo ora, in Siberia e in zone remote del Pianeta ma in quasi tutto il globo (Nord e Sud America, Mediterraneo, Africa meridionale e Asia centrale). È una conseguenza delle temperature che aumentano, soprattutto verso i Poli. E che crescono ancora di più sulle terre emerse. Dove la temperatura dell’aria è aumentata più rapidamente della media globale e ha già raggiunto circa 1,5°C rispetto all’era pre-industriale. In particolare, nella regione del Mediterraneo, le precipitazioni annuali diminuiscono e si concentrano. I cambiamenti climatici favoriscono così l’aumento dell’intensità delle precipitazioni e l’erosione del suolo.
Anche con un riscaldamento globale a 1,5 gradi dai livelli pre-industriali (l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015), vengono valutati “alti” i rischi da scarsità d’acqua, incendi, degrado del permafrost e instabilità nella fornitura di cibo. Ma se il cambiamento climatico raggiungerà o supererà i 2 gradi (l’obiettivo minimo di Parigi), i rischi saranno “molto alti”. La popolazione soggetta a questi fenomeni crescerà all’innalzarsi della temperatura passando da 178 milioni (nello scenario +1,5°) a 220 milioni (+2°) fino a 277 milioni (+3°).
Il terreno è parte della soluzione
È stato detto più volte, durante la conferenza stampa a Ginevra: “Il suolo sotto pressione, è una parte della soluzione ma non può fare tutto da solo”. Perché una gestione sostenibile del territorio può aiutare a mitigare gli effetti dei gas serra che stiamo continuando a pompare in atmosfera. Attraverso per esempio la riforestazione, la “afforestazione” (creare nuove foreste) e mitigando la deforestazione. Le piante, oltre a essere il “polmone” del Pianeta, possono immagazzinare CO2 sottraendola all’atmosfera fino a un terzo delle emissioni totali, anche se è una percentuale variabile proprio per l’incognita dei cambiamenti climatici. Ma anche la gestione dell’agricoltura potrà dare una mano.
Il cibo: meno certo, meno nutritivo
Tutto questo non può non riflettersi sulla disponibilità di cibo e sulla qualità. Gli eventi estremi avranno l’effetto di diminuire la certezza di fornitura in maniera non prevedibile, determinando forti oscillazioni dei prezzi che si ripercuoteranno soprattutto sulle popolazioni più povere e sui produttori di quelle regioni. Più a rischio sono le regioni tropicali e sub tropicali dove la produttività è destinata a calare con l’aumento delle temperature. Invece aumenterà a latitudini più elevate. Ma anche la regione del Mediterraneo ha subito una riduzione di produttività agricola dovuta all’aumento dell’intensità delle precipitazioni e dell’aridità, e gli studiosi prevedono che questo trend aumenterà.
Gli alti livelli di CO2 nell’atmosfera renderanno inoltre meno nutritivi i prodotti ( 5,9-12,7% di proteine in meno, 3,7–6,5% in meno di zinco e 5,2–7,5% in meno di ferro) e anche questo colpirà soprattutto le popolazioni dei Paesi poveri o in via di sviluppo, alimentando un circolo vizioso. Secondo il rapporto sono 820 milioni le persone denutrite nel mondo (due miliardi quelle affette da obesità).
Un terzo di cibo buttato
L’Ipcc stima che dal 25 al 30% del cibo sia perso o buttato, e dal 2010 al 2016 questo abbia contribuito dall’8 al 10% al totale delle emissioni di gas serra prodotti dall’uomo. Una percentuale preoccupante. È uno dei problemi che gli scienziati del Panel evidenziano ai politici, con un richiamo pressante per la riduzione degli sprechi e perché la gestione della catena alimentare e del suolo sia regolata in maniera più sostenibile.

L’agricoltura e l’uso del suolo sono responsabili per il 23% delle emissioni dell’uomo di gas serra. Una dieta più bilanciata e a base di prodotti a basse emissioni di carbonio (vegetali e frutta, meno carni rosse) potrebbe liberare da 4 a 25 milioni di chilometri quadrati di superficie e significare meno emissioni pari a oltre tre miliardi di tonnellate di CO2 all’anno.
Greenpeace: “Agire subito”
“Il suolo e la biodiversità stanno soffrendo una pressione enorme a causa dell’aumento della deforestazione in Amazzonia e degli incendi che proprio in questi giorni stanno devastando Siberia e Indonesia” dichiara Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. “Questi fenomeni hanno un impatto diretto sulla vita di milioni di persone e sul clima, poiché minacciano la nostra sicurezza alimentare favorendo la desertificazione e il degrado del suolo. Alla luce del nuovo rapporto Ipcc, i governi dovranno perciò aggiornare e migliorare i propri piani d’azione per mantenere l’innalzamento delle temperature globali sotto il grado e mezzo”.

 

Fonte: La Repubblica