Le indagini condotte da Digos, Spresal dell’Asl Cn1 e nucleo ispettorato del lavoro dei carabinieri. Il procuratore: “L’inchiesta dimostra che il fenomeno nella zona è consolidato”.
Caporalato nel «profondo Nord» con tre arresti. In carcere da tre mesi un cittadino africano, mentre due imprenditori di Lagnasco sono ai domiciliari. I dettagli dell’operazione «Momo» (dal soprannome del presunto caporale fermato, in Italia dal 2012) sono stati illustrati stamane (venerdì 22 maggio) in questura a Cuneo.
Il procuratore capo di Cuneo Onelio Dodero ha spiegato: «Fenomeno indegno, vergognoso e inumano. Non solo una realtà del Sud: dobbiamo renderci conto che è anche di questa terra, nel Saluzzese. C’è da scandalizzarsi: li accogliamo, li sfruttiamo e li facciamo vivere in 40 in una stanza. E se d’inverno vogliono una stufa se la devono pure pagare. Una guerra tra poveri».
Le indagini sono iniziate la scorsa estate condotte da Digos (dirigente Walter De Meo e il vice Mario Pirito), Spresal dell’Asl Cn1 e nucleo ispettorato del lavoro dei carabinieri, monitorando i luoghi di accoglienza organizzata dei migranti della frutta nel Saluzzese. Nella conferenza stampa la sostituto Chiara Canepa ha aggiunto: «Sono 19 i lavoratori sfruttati per cui è stato accertato il reato di cui sono accusati i tre fermati. Dopo i primi sospetti abbiamo analizzato i tabulati telefonici del caporale e siamo risaliti ai due imprenditori italiani». Le indagini hanno accertato un giro di sfruttamento definito «inquietante»: i braccianti venivano chiamati al telefono o con chat di wahtsapp con l’ordine di presentarsi al lavoro dopo pochi minuti anche di notte. Ad esempio: «Me ne servono subito altri 4. Fai in fretta. Tra 10 minuti passo con il furgone a prenderli».
La paga: meno di 5 euro l’ora (inferiore a quella minima sindacale) da cui detrarre anche i «costi» per il caporale che trovava loro lavoro (a sua volta incassava altri soldi dai datori italiani) e quelli per vitto e alloggio. Non solo: a chiusura di ogni finto contratto regolare ai lavoratori venivano versati 50 euro che loro dovevano poi restituire con l’ingaggio successivo.
Scoperti anche diversi sotterfugi per eludere i controlli, inclusi «pizzini» consegnati ai lavoratori per mentire in caso di verifiche su ore lavorate e periodo di assunzione. I braccianti id fatto erano impegnati ogni giorno della settimana per 10 ore al giorno, senza protezioni e formazione di alcun genere, anche se maneggiavano muletti e pesticidi durante l’impiego in campi e magazzini.
Ancora Dodero: «L’inchiesta dimostra che il fenomeno nella zona è consolidato e organizzato, presente sul territorio da almeno 5 anni: quindi può essere replicato. E noi vigileremo. Speriamo che quello scoperto sia il primo e unico caso, ma temiamo che non sarà così: difficile che riguardi solo un’azienda. Siamo preoccupati per l’immediato futuro perchè è imminente la nuova campagna di raccolta. Il lavoro stagionale è una delle ricchezze del territorio».
Il questore Emanuele Ricifari «Chi in passato ha paragonato Saluzzo a Rosarno sbaglia perchè non sa cosa accade nella località calabrese. Siamo nel profondo Nord, l’economia è florida ma sappiamo, come ci hanno detto gli impreditori e sindaci del territorio, che la manodopera locale non sarebbe sufficiente per il lavoro stagionale da svolgere. Le indagini hanno riguardato anche la struttura del dormitorio Pas, se i migranti fossero stati sparsi sul territorio sarebbe stato molto più difficile».
Santo Alfonzo della Spresal dell’Asl Cn1: «Da oltre 30 anni mi occupo anche di questo settore: colpisce perchè è la prima, ma è una organizzazione sistematica che, assicuro, non era presente in passato».
Fonte: ‘La Stampa’