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Sono oltre 20mila posti, portati presto a 25mila, il Sistema per la Protezione di Richiedenti Asilo e Rifugiati è la punta di diamantedell’accoglienza in Italia. Gestito dall’Anci, mette al centro i Comuni. Un metodo da rafforzare, fotografato dall’Atlante Sprar, il rapporto annuale, presentato a Roma.

“Non voglio gridare all’emergenza, ma se non ci saranno politiche adeguate, lo pagheremo tutti, e la competizione fra poveri crescerà”. Piero Fassino risponde così a chi gli chiede conto delle affermazioni di qualche giorno fa, che paventavano un’Italia “vicina al superamento della soglia governabile sull’immigrazione”, in cui le graduatorie per le case popolari “favorirebbero gli stranieri”. A contraddire le battute dell’ex-sindaco di Torino, nell’affollatissima sala conferenza dell’Anci, a ridosso di Montecitorio, un’affermazione del prefetto Mario Morcone, che ha ricordato come “il saldo netto delle migrazioni è di sicuro positivo e di almeno quattro miliardi di euro, come dicono dati di Confindustria e Inps”.
La fotografia dell’accoglienza integrata dei rifugiati. Punti di vista divergenti e forse complementari, che raccontano un fenomeno complesso, che la presentazione dell’Atlante Sprar (presso la sede dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani), fotografa annualmente per quanto riguarda la così detta “accoglienza integrata” di rifugiati e richiedenti asilo. Una vicenda minoritaria a livello statistico – appena 29mila le persone ospitate nei progetti delle rete Sprar nel 2015, a fronte di oltre 82mila posti in centri d’emergenza nello stesso anno e di cinque milioni di cittadini stranieri in Italia – ma che mostra una via che, per governo ed enti locali, va rafforzata, distribuendo i rifugiati nei comuni di tutta la penisola.
Venticinquemila posti e quasi mille Comuni coinvolti. Sono 21.613 i posti per l’accoglienza attualmente offerti dallo Sprar, acronimo di Sistema per la Protezione di Richiedenti Asilo e Rifugiati, in attesa dell’entrata a regime nei prossimi mesi di altri 3996 posti, assegnati lo scorso giugno a 174 Comuni e enti locali, a seguito di un bando per 10mila, andato in gran parte deserto. Perno del sistema, l’adesione volontaria delle amministrazioni locali. 376 comuni sono oggi titolari di progetti, e sono almeno 800 quelli coinvolti, in un sistema che la fondazione Cittalia, coordinatrice nazionale dello Sprar per conto di Anci, definisce di “governance multi-livello”. I comuni che aderiscono, si appoggiano infatti a cooperative sociali, volontariato e associazioni di categoria, interagendo poi con la dimensione nazionale e regionale, tramite formazione, monitoraggio, rendicontazione continuativa di spese e attività svolte.
Un’accoglienza che emancipa. A caratterizzare l’accoglienza dello Sprar sono innanzitutto le strutture, non grandi centri, come spesso sono i CAS (Centri d’Accoglienza Straordinaria), i CARA e i recenti hotspot, ma appartamenti o piccole comunità, inserite idealmente nel tessuto di città e paesi. Operatori sociali e legali, mediatori, psicologi e assistenti sociali dovrebbero garantire una serie di servizi volti, come sottolineato da Silvia Olivieri del Servizio Centrale Sprar, a “un’accoglienza che emancipa, e parte dall’apprendimento della lingua per creare percorsi di formazione, inserimento lavorativo e abitativo”. Un sistema che mira insomma a rendere autonome le persone, evitando conflittualità e allontanando quei rischi di mala-gestione spesso associati ai grandi centri, collettori di enormi finanziamenti pubblici.
Il Sud Italia che accoglie di più. Giunto alla soglia dei 15 anni di vita, e figlio del ‘precedente Piano Nazionale Asilo, primo tentativo di strutturare l’accoglienza dei rifugiati nel nostro paese, il sistema illustrato dall’Atlante Sprar vede un’Italia spaccata, in cui il Centro-Sud accoglie molto di più. Sicilia, Lazio, Calabria e Puglia hanno predisposto circa il 60 per cento dei posti totali. La Lombardia, con 972 posti, non raggiunge i 1167 della sola provincia di Agrigento, fra le più povere d’Italia (e fra le più condizionate dal crimine organizzato), mentre il piccolo comune catanese di Vizzini supera Milano con 335 posti contro 292. Un dato solo parzialmente equilibrato da quello delle strutture straordinarie per l’accoglienza disposte direttamente dalle Prefetture e che contano oggi 100mila posti, con Lombardia, Veneto e Piemonte fra le prime regioni per numero di persone accolte.
Verso un nuovo sistema. “Il futuro”, ha spiegato il capo-dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione Mario Morcone, “è nell’attuazione del sistema previsto dalla Conferenza Stato-Regioni nel luglio 2014, ovvero una prima accoglienza in centri più grandi e un secondo livello nello Sprar, rafforzato sempre di più”. Non più insomma, come spesso avviene oggi, un binario parallelo fra le due forme di accoglienza, che riserva lo Sprar a pochi fortunati. Primo passo di questo rafforzamento sarà “un decreto, che depositeremo il 28 luglio presso la Conferenza Unificata, che farà saltare le vecchie procedure di bando pluriennale, in favore di una possibilità di accredito permanente: un Comune potrà chiedere in ogni momento dell’anno di accedere ai fondi nazionali per lo Sprar”.
Incentivi per gli enti locali e nuovi posti per minori. Se il Ministero sta lavorando per inserire incentivi economici per i Comuni che aderiranno allo Sprar, per il momento – sottolinea Morcone – si può ipotizzare che “l’ente locale che ospita già rifugiati nell’ambito dello Sprar, in linea con una quota di ripartizione nazionale delle persone, non sarà scelto dalle prefetture qualora si debbano aprire nuovi centri d’emergenza”. Una prospettiva già prevista, con l’obiettivo di raggiungere i 150mila posti totali entro la fine dell’anno, fra Sprar e centri CAS, hotspot e Cara. Fra le prime manovre, un ampliamento dei posti per i Minori stranieri non accompagnati, sempre più presenti fra chi arriva sulle coste italiane, e costretti a permanenze prolungate all’interno di hotspot e punti di sbarco.
Storie di integrazione, anche da Siria e Afghanistan. Al di là dei numeri, l’Atlante Sprar racconta esperienze e volti, come quelle dei giornalisti rifugiati a Bologna, o ancora dei ragazzi di Martinafranca (Taranto) che hanno contribuito a una applicazione per lo smartphone destinata ai turisti, o il progetto di inclusione universitaria dei rifugiati a Pavia. Storie di arricchimento reciproco fra locali e nuovi arrivati, nate da interazioni positive con il territorio. A cui, dal 2015, si sono aggiunte quelle di due gruppi particolari: i siriani reinsediati direttamente dai campi profughi del Libano, e gli ex-interpreti afghani portati in Italia in seguito al ritiro delle nostre truppe dal paese, in un inedito corridoio umanitario per chi, assunto dalla missione Nato, si è trovato sotto il mirino di organizzazioni terroristiche.

“Non voglio gridare all’emergenza, ma se non ci saranno politiche adeguate, lo pagheremo tutti, e la competizione fra poveri crescerà”. Piero Fassino risponde così a chi gli chiede conto delle affermazioni di qualche giorno fa, che paventavano un’Italia “vicina al superamento della soglia governabile sull’immigrazione”, in cui le graduatorie per le case popolari “favorirebbero gli stranieri”. A contraddire le battute dell’ex-sindaco di Torino, nell’affollatissima sala conferenza dell’Anci, a ridosso di Montecitorio, un’affermazione del prefetto Mario Morcone, che ha ricordato come “il saldo netto delle migrazioni è di sicuro positivo e di almeno quattro miliardi di euro, come dicono dati di Confindustria e Inps”.

La fotografia dell’accoglienza integrata dei rifugiati. Punti di vista divergenti e forse complementari, che raccontano un fenomeno complesso, che la presentazione dell’Atlante Sprar (presso la sede dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani), fotografa annualmente per quanto riguarda la così detta “accoglienza integrata” di rifugiati e richiedenti asilo. Una vicenda minoritaria a livello statistico – appena 29mila le persone ospitate nei progetti delle rete Sprar nel 2015, a fronte di oltre 82mila posti in centri d’emergenza nello stesso anno e di cinque milioni di cittadini stranieri in Italia – ma che mostra una via che, per governo ed enti locali, va rafforzata, distribuendo i rifugiati nei comuni di tutta la penisola.

Venticinquemila posti e quasi mille Comuni coinvolti. Sono 21.613 i posti per l’accoglienza attualmente offerti dallo Sprar, acronimo di Sistema per la Protezione di Richiedenti Asilo e Rifugiati, in attesa dell’entrata a regime nei prossimi mesi di altri 3996 posti, assegnati lo scorso giugno a 174 Comuni e enti locali, a seguito di un bando per 10mila, andato in gran parte deserto. Perno del sistema, l’adesione volontaria delle amministrazioni locali. 376 comuni sono oggi titolari di progetti, e sono almeno 800 quelli coinvolti, in un sistema che la fondazione Cittalia, coordinatrice nazionale dello Sprar per conto di Anci, definisce di “governance multi-livello”. I comuni che aderiscono, si appoggiano infatti a cooperative sociali, volontariato e associazioni di categoria, interagendo poi con la dimensione nazionale e regionale, tramite formazione, monitoraggio, rendicontazione continuativa di spese e attività svolte.

Un’accoglienza che emancipa. A caratterizzare l’accoglienza dello Sprar sono innanzitutto le strutture, non grandi centri, come spesso sono i CAS (Centri d’Accoglienza Straordinaria), i CARA e i recenti hotspot, ma appartamenti o piccole comunità, inserite idealmente nel tessuto di città e paesi. Operatori sociali e legali, mediatori, psicologi e assistenti sociali dovrebbero garantire una serie di servizi volti, come sottolineato da Silvia Olivieri del Servizio Centrale Sprar, a “un’accoglienza che emancipa, e parte dall’apprendimento della lingua per creare percorsi di formazione, inserimento lavorativo e abitativo”. Un sistema che mira insomma a rendere autonome le persone, evitando conflittualità e allontanando quei rischi di mala-gestione spesso associati ai grandi centri, collettori di enormi finanziamenti pubblici.

Il Sud Italia che accoglie di più. Giunto alla soglia dei 15 anni di vita, e figlio del ‘precedente Piano Nazionale Asilo, primo tentativo di strutturare l’accoglienza dei rifugiati nel nostro paese, il sistema illustrato dall’Atlante Sprar vede un’Italia spaccata, in cui il Centro-Sud accoglie molto di più. Sicilia, Lazio, Calabria e Puglia hanno predisposto circa il 60 per cento dei posti totali. La Lombardia, con 972 posti, non raggiunge i 1167 della sola provincia di Agrigento, fra le più povere d’Italia (e fra le più condizionate dal crimine organizzato), mentre il piccolo comune catanese di Vizzini supera Milano con 335 posti contro 292. Un dato solo parzialmente equilibrato da quello delle strutture straordinarie per l’accoglienza disposte direttamente dalle Prefetture e che contano oggi 100mila posti, con Lombardia, Veneto e Piemonte fra le prime regioni per numero di persone accolte.

Verso un nuovo sistema. “Il futuro”, ha spiegato il capo-dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione Mario Morcone, “è nell’attuazione del sistema previsto dalla Conferenza Stato-Regioni nel luglio 2014, ovvero una prima accoglienza in centri più grandi e un secondo livello nello Sprar, rafforzato sempre di più”. Non più insomma, come spesso avviene oggi, un binario parallelo fra le due forme di accoglienza, che riserva lo Sprar a pochi fortunati. Primo passo di questo rafforzamento sarà “un decreto, che depositeremo il 28 luglio presso la Conferenza Unificata, che farà saltare le vecchie procedure di bando pluriennale, in favore di una possibilità di accredito permanente: un Comune potrà chiedere in ogni momento dell’anno di accedere ai fondi nazionali per lo Sprar”.

Incentivi per gli enti locali e nuovi posti per minori. Se il Ministero sta lavorando per inserire incentivi economici per i Comuni che aderiranno allo Sprar, per il momento – sottolinea Morcone – si può ipotizzare che “l’ente locale che ospita già rifugiati nell’ambito dello Sprar, in linea con una quota di ripartizione nazionale delle persone, non sarà scelto dalle prefetture qualora si debbano aprire nuovi centri d’emergenza”. Una prospettiva già prevista, con l’obiettivo di raggiungere i 150mila posti totali entro la fine dell’anno, fra Sprar e centri CAS, hotspot e Cara. Fra le prime manovre, un ampliamento dei posti per i Minori stranieri non accompagnati, sempre più presenti fra chi arriva sulle coste italiane, e costretti a permanenze prolungate all’interno di hotspot e punti di sbarco.

Storie di integrazione, anche da Siria e Afghanistan. Al di là dei numeri, l’Atlante Sprar racconta esperienze e volti, come quelle dei giornalisti rifugiati a Bologna, o ancora dei ragazzi di Martinafranca (Taranto) che hanno contribuito a una applicazione per lo smartphone destinata ai turisti, o il progetto di inclusione universitaria dei rifugiati a Pavia. Storie di arricchimento reciproco fra locali e nuovi arrivati, nate da interazioni positive con il territorio. A cui, dal 2015, si sono aggiunte quelle di due gruppi particolari: i siriani reinsediati direttamente dai campi profughi del Libano, e gli ex-interpreti afghani portati in Italia in seguito al ritiro delle nostre truppe dal paese, in un inedito corridoio umanitario per chi, assunto dalla missione Nato, si è trovato sotto il mirino di organizzazioni terroristiche.

(fonte: La Repubblica)